…anche se il rinfresco è in una Chiesa.
Anche se la Chiesa non è solamente una Chiesa, ma un Santuario, uno dei più amati in Torino.
La Consolata.
La Consolata, il magnifico santuario nel cuore di Torino e nei cuori dei torinesi, la Consolata, la Patrona di Torino da trecento anni, il Santuario dove respiri l'atmosfera solenne resa tale dai grandi Santi che l'hanno frequentato, da San Giovanni Bosco a San Giuseppe Cafasso al beato Piergiorgio Frassati.
La Consolata, dove si respira un'aria magica, tanto che persino Rol era un assiduo frequentatore.
La Consolata, a cui sono devota e che tanto, lo so, mi ha aiutata, anche nella recente mazzata che mi sono beccata per la mia salute, quando, per telefono, la dottoressa mi comunicò l'esito della biopsia dicendomi di avere un tumore al seno da operare subito, e io, "guarda caso", stavo passando in macchina proprio sotto il santuario, e, guardando il alto, vidi il crocifisso che svettava verso il cielo e capii che la Consolata mi avrebbe aiutata e guarita.
Insomma, la Consolata, là.
La Consolata, che ospita nel suo interno un gruppo di fedeli detto "amici della Consolata".
Un'associazione di volontari che si occupano di varie mansioni all'interno del Santuario, di aiuto nella gestione del Santuario stesso ed ausilio ai fedeli per visite guidate o altro.
Sono amica, degli amici della Consolata.
O perlomeno, con alcuni di questi. Quelli che conosco. Persone gentili, premurose, giovani e anziane, che ti salutano con un sorriso schietto e aperto, e non con un tirato "buongiorno", giusto per buona educazione. Ne ho stima, ed alcuni li reputo più di semplici conoscenti, per quanto non al livello di veri "amici". Disponibili all'aiuto, alla conversazione, pronti ad ogni occasione a darsi da fare, ad aiutare, a organizzare.
Come una domenica mattina di qualche mese fa.
Quella domenica, era "festa", alla Consolata.
Si salutava il nuovo rettore entrante, e si porgeva un saluto a quello uscente, con un rinfresco dopo la funzione del mattino. Un rinfresco semplice, ma curato, con salatini, tartine e succhi di frutta sotto le arcate dei portici del cortile interno, offerto per i fedeli e per i suddetti "amici" della Consolata.
Anche io e Gabriele andiamo: oltretutto siamo invitati! Un giovane e gentile sacerdote, mentre usciamo alla fine della messa, saluta Gabriele e gli dice: "mi raccomando, vai al rinfresco, ci sono i salatini e la Coca Cola!"
E che, ce lo facciamo ripetere mica due volte?
Per quanto Gabriele non ami la ressa e lo sgomitamento da rinfreschi gratis, voglio portarlo, fargli respirare un po' di aria di festa, di allegria, fargli assaporare il dolce sapore della condivisione di un attimo di serenità tra quasi-amici e anche, inutile negarlo, quello di due salatini, di cui è ghiotto.
Percorriamo il cortile per avvicinarci al porticato dove è allestito il rinfresco.
Perchè il rinfresco è allestito proprio lì, in uno spazio lungo sei, otto metri al massimo di lunghezza e di nemmeno due per larghezza: la larghezza di un porticato. In quei due metri di larghezza ci devono stare: 1) banchetti colmi di vassoi di salatini, bibite e stoviglie varie in plastica 2) personale di servizio che gentilmente ti porge cibi e bevande, e che anche quello il suo spazio lo occupa 3) e infine, la ressa di gente, ovviamente noi compresi, che si affanna per riuscire a beccare un salatino, una pizzetta o un bicchiere di Coca Cola.
Sapete tutti come va, vero, ai rinfreschi, e per di più gratis?
Ecco, anche per i rinfreschi nelle Chiese, la storia è la stessa, e anche qui tutti cercano di arrivare per primi all'acqua della piscina di Bethesda lasciando indietro e fregandosene bellamente del povero invalido che mai riesce ad arrivare all'acqua in tempo, scavalcato da tutti - come da una ben nota ma poco applicata parabola di Gesù (nota 1: Giovanni, 5; 1-9).
In altre parole, tutti si buttano sui banchetti colmi di vivande fregandosene di chi rimane dietro o ha dei problemi nel muoversi o semplicemente non ha l'indole di sgomitare per andare a ingozzarsi .
Io questa indole in realtà ce l'ho - non ricordo più se congenita o formata negli anni da lungo esercizio di sopravvivenza - ma Gabriele no.
Lui non ama la ressa, non ama buttarsi nella confusione, è discreto e gentile e non sgomita nella folla, impresa in effetti molto ardua anche per un panzer come me.
E inoltre, noi in più abbiamo anche un impiccio: la carrozzina.
La carrozzina di Gabriele.
Grande, perchè lui ormai è praticamente un ragazzino.
Ingombrante, perchè munita di joystick, motore e batteria.
Pesante, perche tra motore, batteria e Gabriele sopra, agli ottanta chili ci arriviamo tranquillamente.
E pericolosa: in fondo è una piccola auto senza carrozzeria, e quindi va utilizzata con prudenza, soprattutto negli spazi ad alta densità di persone: beccarsi ottanta chili su un piede, magari a causa di un'incauta manovra, molto piacere non fa di certo.
E quindi, disinserisco il motore e attivo la modalità manuale: ora è una normale carrozzina a spinta, per quanto più pesante, ma rimane comunque ingombrante: lo spazio fisico occupato da noi, quello non possiamo proprio eliminarlo, almeno finchè il Buon Dio deciderà di lasciarci su questa terra.
Così, spento il motore, ci adattiamo ad andare in modalità manuale, pian pianino, cercando di non urtare nessuno, di non farci troppo notare, di non disturbare, andando avanti a colpi di "scusi", "permesso", "per cortesia", "grazie", "gentilissimo", "pardon" e via scusandoci della nostra ingombrante presenza.
Finchè..
Finchè il cretino di turno si paventa all'improvviso.
Pure qui.
Pure alla Consolata.
E lo fa nel modo più umiliante che ci sia.
Sotte le spoglie, infatti, di un tranquillo anziano signore torinese, si cela inaspettato l'imbecille di turno.
Che con la bocca piena, una pizzetta nella destra e un salatino nella sinistra, comincia a urlarmi, in mezzo a tutta la gente sgomitante: "Ah, ma proprio qui deve portarlo, il suo bambino, con 'sta sedia a rotelle?? Ma è proprio senza cognizione!!". E si fa un cenno con la mano sulla tempia ad evocare il gesto "ma sei proprio svitata, matta!", mentre con gli occhi fa l'espressione di dire..."ma poveri noi, guarda che razza di cretina deve venire qui, lei e la sua carrozzina col figlio sopra!! Non vede che non c'è spazio per tutti? Non vede che se ci siamo noi non ci sta la carrozzina e se ci sta la carrozzina non ci stiamo più noi e non possiamo più ingozzarci?? Non vede che stiano mangiando? Non vede che ci sta disturbando??"
Se ci fosse Dante a guardarmi, direbbe che "più che la mortificazione potè la rabbia" (al posto del suo "più che il dolor potè la fame").
Infatti, ero così mortificata che sarei voluta sprofondare: per me, per le urla, per il rimprovero, per la gente che ci guardava, ma soprattutto per Gabriele, di cui la bestia non ha tenuto minimamente conto: d'altronde, è solo un bambino su sedia a rotelle, no? Gabriele, che sorridente pregustava un salatino, e che subito ha abbassato gli occhi e il cui sorriso ha lasciato il posto ad un'espressione triste e mortificata, sentendosi in colpa per essere stato lui la causa di tutto.
A quella vista, una rabbia sorda che mi è uscita da dentro e che mi è schizzata dalla testa, dalla bocca e dagli occhi , per la precisione, facendomi urlare a mia volta, di modo che tutti i presenti potessero sentirmi bene "E perché, noi non abbiamo il diritto di partecipare al rinfresco?? Perchè abbiamo la carrozzina, per questo non dobbiamo disturbare gli altri, perchè abbiamo una sedia a rotelle e non abbiamo il diritto anche noi di essere al rinfresco con gli altri??? Ma vada, vada a ingozzarsi, vada, vada anche per noi!!!"
Una piazzata vera e propria.
Urlo talmente forte che penso mi abbia sentito persino il cielo.
Il cretino abbassa gli occhi.
Silenzio.
Per pochi secondi attorno a noi si fa un silenzio sospeso.
Ci guardano.
Ci fanno pure spazio.
Mortificata, prendo una tartina per Gabriele, e faccio per andarmene.
La voglio prendere appositamente, per consolarlo, sì, ma soprattutto per mostrargli che, quando non ci sarò più io a urlare e difendere i suoi diritti, non dovrà mai chinare la testa, non dovrà mai cedere agli stupidi o prepotenti, dovrà sempre farsi valere e rispettare.
E poi facciamo per andarcene.
Io, Gabriele, la carrozzina e la pizzetta.
Nel silenzio, nel vuoto, nello spazio - tanto - che improvvisamente si è creato attorno a noi.
Io e lui, via, via da questi ipocriti, da questi "perfetti cristiani", penso, che l'attimo prima sono in Chiesa a scambiarsi il segno della pace e il momento dopo ritornano bestie! Bestie, anche se hanno l'aspetto di un distinto e anziano signore!
E mentre ce ne andiamo, sento una voce.
Un gesto..qualcuno mi chiama, mi tira gentilmente la giacca, discretamente.
"Signora...signora, prenda le mie tartine per il bambino....ne prenda altre, se le porti a casa....E scusi quella persona. E' il marito di una volontaria, è stato maleducato, le chiedo scusa per lui a nome di tutti gli Amici della Consolata."
E altre voci si aggiungono.
Altre persone, altri amici della Consolata.
Veri.
Che fanno spazio a Gabriele, gli parlano, ci scherzano, gli porgono i salatini, ci aiutano a fare i pochi scalini del porticato.
Sono gentili, sono sinceri. Non si ingozzano, non si buttano sui banchetti, non ci sgridano per la nostra ingombrante presenza.
E la rabbia, pian piano si scioglie, come un grumo, come un pezzo di ghiaccio al sole, lasciando il posto ad una sensazione di serenità e di salvezza.
Rimane una sensazione strana.
Che strani, questi uomini, cara Consolata, che prima sembrano senza speranza e l'attimo dopo ti riempiono il cuore.
Nota 1)
Giovanni 5:1-9
Gesù guarisce un paralitico a Betesda
Gv 7:19-24; 9:1-17
1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito].
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.